venerdì 28 agosto 2009

MMetropolitana

Ciao a tutti ho aperto un nuovo blog dove raccolgo i racconti della metropolitana. Il link sta sulla colonna dei link a destra. Saluti

giovedì 27 agosto 2009

MMetropolitana - Cap 2

Ieri in metropolitana ci ho visto Anna.
Anna di suo nella vita fa la ballerina. Ha che fare con un posto dove c’entrano le scale ma non quelle mobili di cui s’è detto, di più non so. Anna è molto magra.
Due sono le cose che in maniera fondamentale ama fare, ballare, in quanto ballerina, e fare il sesso, in quanto donna.
Io queste cose le so non perché conosco Anna, e tanto meno perché ci faccio sesso, magari, ma perchè sono un narratore che mi hanno detto si chiama onnisciente o omniscente, una cosa così insomma, e per questo so tutto di tutti. Cosa che, a me, non mi dispiace.
Anna è appena tornata da una città che non ha le strade, ma i fiumi, però di acqua ferma o quasi. La città più romantica del mondo, così pensa Anna, ma io non sono sicuro che sia vero. L’ha invitata un tale Mark o un nome così, straniero, o che comunque non somiglia ai nomi che la gente da qui. Dice Mark: “ Vedrai, dormire a Venezia è un’esperienza unica, terribilmente romantica.”
Anna ha detto si, e così hanno fatto il weekend, che è più o meno il sabato e la domenica che qui la gente non lavora, quasi tutti almeno, in questa Venezia, che non ha strade ma fiumi con l’acqua ferma e la gente se ne va in giro in barca.
Non penso che li ci sia la metropolitana ma non so.
Anna pensava che Mark era proprio un bel ragazzo e ci sarebbe stato sicuramente da fare una delle cose che ama di più fare: non ballare. Così è andata a Venezia.
Adesso Anna è pensierosa, ma neanche tanto, e c’ha un mezzo sorriso che si vedono un poco i denti, ma solo un poco.
Mark invece è incazzato e ha preso un’altra linea della metropolitana, probabilmente la verde che dicono faccia speranza, ma forse la rossa perché è proprio incazzato.
Comunque Anna e Mark stavano tornando da Venezia come due piccioni, che mi dicono ce ne siano tanti, e lì Mark ha fatto uno sbaglio grande.
Erano lì, alla stazione di Mestre, proprio vicini a Venezia e Mark dice: “vorrei che la nostra storia diventasse qualcosa di serio”, proprio così, come fosse una proposta. Veramente Mark glielo voleva dire a Venezia, che ne so, passeggiando in riva a quei fiumi fermi, magari mentre il sole va giù, ma non aveva coraggio abbastanza. Alla fine il coraggio gli è venuto proprio nella stazione di Mestre, che, dico io, non è proprio la cosa migliore.
Anna ha riso. Nel senso di ridere. Non a bocca aperta, ma lo stesso si vedeva che rideva, e rideva come per dire no.
Mark non l’ha presa bene. E’ andato a fumare in bagno, che non si potrebbe, ma tanto ti chiudi dentro, e se n’è stato in piedi fino a qua.
Non si sono neanche salutati. Proprio per niente. Mark è sceso ed è andato via.
Anna adesso se ne sta nel vagone della metropolitana e torna a casa e pensa che si è proprio divertita a Venezia, peccato che Mark, si insomma, che Mark abbia voluto dire tutto.
Lei non è mica fatta così, insomma, non è ferma, non vuole stare ferma, anche perché come ballerina, lei balla.
Ecco, insomma, questa storia è andata più o meno così, a me da un po’ fastidio che Anna sia contenta perché è stata in questa Venezia, che a me non pare poi così romantica alla fine, e Mark invece sia triste e arrabbiato, ma è che andata così.
Tra l’altro Anna c’ha proprio una bella valigia, rossa con le ruote piccole che qui si chiama trolli, o una cosa simile. Mi sembra grande per due giorni. Sono proprio comode con quelle ruote piccole, non si fa fatica. Chissà se galleggiava su quei fiumi fermi, la valigia dico, ma non credo.

martedì 25 agosto 2009

Chissa Pier

Stavo facendo all’amore con questa mia amica. Però pensavo decisamente ad altro.

Pensavo a Pier. Chissà se mi ama.

Eravamo stati amici un tempo infinito, macche infinito, almeno quindici anni, da quando s’era bambini.

Poi viene fuori. Sono gay, mi dice.

Ma vai a cagare Pier, gli dico, allora baciami stronzo, dico ancora.

Io scherzavo, lui no.

Poi viene fuori uno di quei silenzi che mai assieme a Pier, al limite si scoreggiava.

A questo penso mentre stantuffo allegramente su questa mia amica. Lei geme strozzatamene a ritmo.

Ti amo, geme strozzata.

Ma vai a cagare, penso io, e gli do due colpi più forte. Geme di più.

Dovrei prenderti ad accettate, penso. Poi è andata a finire che ho fatto proprio così. Ma questa è un’altra storia.

Chissà se Pier mi ama.

Cazzo è una settimana che non lo sento. A me, Pier, dopo una settimana manca.

Come ti sei accorto, gli ho chiesto.

L’ho preso in culo, mi dice. Lo guardo: mica scherzava.

“Eh, ma diocane…”. È tutto quello che ho saputo dire. Vabbè in effetti ho detto anche ciao.

Sono andato via, e adesso è da una settimana che non lo sento.

Chissà se mi ama?

Intanto questa mia amica mi sta venendo. Dovrei proprio prenderla ad accettate.

Chissà se com’è che viene Pier quando lo prende in culo.

Finalmente sfiata, stringe, finito?

Sussurra ti amo. Ma chi se ne frega. Cazzo, io voglio sapere se Pier mi ama.

Me ne esco fuori dalle sue gambe che non ho neanche finito. La testa non vuole più, il cazzo domanda.

Che cazzo domandi? Dico io.

Vado in bagno, non voglio che veda il profilattico vuoto. Merda di città neanche un’accetta.

Mi guardo allo specchio, nudo.

Chissà Pier, penso.

lunedì 24 agosto 2009

MMetropolitana

Io, in quanto tale, uso per andare a lavorare la metropolitana.

So, perché me l’hanno detto, che in Inghilterra e in tutti i paesi dove l’Inglese la fa da padrone, che questa si chiama underground, o giù di li, che in breve vuol dire sottoterra, che mi sembra appropriato e semplice per definire il dove, ma alquanto vago per definire il come.

Qui, come dicevo, dove lavoro io, la stessa si chiama metropolitana che dev’essere una parola che viene fori dal latino o dal greco antico, lingue morte e seppellite.

C’è da dire che l’inglese invece vive e vegeta (buon per lui) e spadroneggia pure, tanto che ormai lo si parla in tutto il mondo. Così mi dicono.

C’è da dire che su questa metropolitana, che in fin dei conti è un po’ treno e un po’ autobus (solo che va sottoterra), non sono quasi mai da solo. Anzi, a pensarci bene proprio mai.

Se poi ci salgo negli orari giusti, che mi hanno detto essere di punta (chissa che punta?), ci salgo proprio a pelo, che se non sto attento lascio qualche pezzo fuori dalla porta che si chiude.

Sulle porte della metropolitana ci hanno fatto anche un film, ma questa è un’altra storia. Comunque le suddette porte non sono come quelle di casa che si aprono e si chiudono sui cardini, ma vanno qua e la sui binari, e prima che ghigliottinino qualcuno di solito fanno un suono di sirena. Io, in quanto me, mi diverto proprio un sacco a salire mentre suona la sirena, e i pistoni delle porte soffiano, perchè mi viene da pensare: “pensa se rimanevo fuori”. E questa è un po’ la trama del film di cui si è detto.

Salire quando suona la sirena si può fare solo se non è orario di punta perché si necessita di un certo slancio e di un po’ di spazio per frenare, che se è pieno di gente viene fuori un frittatone, e a qualcuno potrebbe non piacere. Nemmeno a me a pensarci bene.

Comunque io, qua, mi diverto anche così.

Quando si esce dalla metropolitana, spesse volte si chiede permesso, e spesse volte si spinge un po’, ma nessuno se ne ha a male, tanto spingono tutti. Bisogna stare attenti a non spingere i vecchi per chè questi si arrabbiano e qualcosa te lo dicono. In genere i vecchi hanno ragione.

Io, in quanto me, sto sempre piuttosto attento, a non spingere i vecchi appunto perché mi hanno detto che in genere hanno ragione e per questo motivo ci sto attento insomma. Non vorrei mai romperne qualcuno.

Quando si scende a me viene sempre un sacco da ridere, ma non lo faccio mai perché uno che ride quando non c’è niente da ridere fà la figura del matto. Comunque mi viene da ridere perchè si sembra tante pecore e pecoroni (questo è dovuto alla democrazia che fa viaggiare sottoterra sia maschi che femmine. Certe femmine tra l’altro! Ma solo ogni tanto.), perché da tutto il treno che è lungo piuttosto, si parte tutti veloci verso una sola porta, neanche ci dovessero tosare.

Dopo la porta c’è un corridoio. Nel corridoio, io che sono alto, non tanto, ma abbastanza, vedo le teste di quelli bassi tutte vicine, che vanno su e giù mentre camminano, nessuno a ritmo con l’altro, e mi viene da ridere un’altra volta (ma non rido). Poi c’è la scala, detta mobile in cui gli stanchi stanno a destra, fermi, e gli atletici salgono camminando a sinistra. Poi ci sono anche i turisti che stanno fermi a sinistra e allora senti, “permesso”, ma il turista in genere non capisce o perché è straniero o perché boh, e il traffico si blocca e si sta tutti fermi.

In genere io cammino e faccio l’atletico, a meno che non sia proprio stanco o mi facciano male le scarpe, e mi fanno male spesso, allora sto fermo a destra.

Anche i vecchi stanno a destra, praticamente tutti.

Poi si arriva in cima alle scale e c’è una cosa che un ministro bassino ha fatto conoscere a tutti che si chiama tornello. Prima mica lo sapevo, e poi dicono che i ministri non servono a niente. E al tornello dove esco io ci sono solo due passaggi e fà un po’ imbuto e la gente un po’ rallenta. Poi bisogna stare attenti che c’è una porta che si apre e si chiude, detta automatica, che mi arriva sotto il petto. Se sbagli il tempo gli dai certe legnate alla porta che poi ti giri a controllare se l’hai rotta ma lei è li imperterrita che si apre e si chiude. È una dura la porta, e tu ti massaggi l’anca perché in genere sbatti con l’anca.

Dopo la porta qualcuno va di qua e qualcuno va di là. E alle volte dici “prego” e fai passare una signorina, alle volte “permesso” e passi tu. Poi si dice anche “scusi” se tocchi qualcuno, o “perdon”.

Una volta uno mi ha dato un calcio forte sul polpaccio e io mi sono girato con la faccia di chi adesso ti spacco la testa ma lui ha detto “scusi” io ho detto “niente” e siamo andati via così, ma il polpaccio mi faceva male.

Ci sono anche i vecchi dopo il tornello, che in genere ci hanno il carrellino, e lì fermi tutti perchè in genere i vecchi ci hanno la ragione, così almeno mi hanno detto. Ma vanno di un piano, che certe mattine che sei svegliato nero daresti un calcio al carrellino al vecchio e alla ragione che ce l’hanno oppure no.

Poi si esce, ma questa è un’altra storia.

La linea che prendo io è la linea tre, anche detta gialla perchè tutti gli arredi dei treni, delle stazione, delle scale mobili, sono del colore giallo. La tre è l’ultima linea, nel senso che prima ci sono la uno (verde) e la due (rossa) o viceversa che i colori non me li ricordo bene.

Si potrebbe dire che la gialla è la spina dorsale della città. Ma siccome la città è più o meno una palla, non si può dire cretinate, comunque la mia (gialla) va nella piazza del Duomo che in cima c’è la “madunina” che per sua fortuna è tutta d’oro tranne le ragazzate dei piccioni, e alla stazione che pur essendo di ferro anche lei ha le ragazzate dai piccioni. Ora siccome a me sembrano i luoghi di maggior importanza della città va da se che la mia linea, gialla per l’appunto, sia la più importante della città e quindi la spina dorsale. Ora si può disquisire senz’altro, ma tanto i rimango della mia opinione quindi tanto vale non disquisire.

Comunque non voglio parlare ne di piccioni ne di quale sia la linea più importante della città, volevo solo dirvi come e dove, o per dove vado a lavorare, che sembra niente, ma siccome siamo in tanti, tutti sotto terra, che andiamo nella stessa direzione proprio come pecore e pecoroni al macello, mi pare una cosa che valesse raccontata per filo e per segno. Nel senso, non solo per dove e come ci si va a lavorare tutti insieme, ma anche chi c’è là sotto, che c’è ogni forma di umanità conosciuta, (si sente anche dall’odore) e tutti pensano e fanno cose, e mi fanno quasi tutti abbastanza ridere, tranne quelli che no, ovviamente, e ce né tanti anche di quelli.

Saluti

Buona lettura a tutti.